Conosco persone che, per scelta,
non hanno il televisore. Si tratta di gente che vive la televisione come un
demone o che, con compiaciuto snobismo, affermano di avere ‘ cose più
interessanti da fare’. Niente da obiettare, perché spesso la tv propone un vuoto
pericoloso o messaggi del tutto deleteri, come per esempio il fatto che basti
apparire giovani, belli e del tutto decerebrati per avere denaro e successo.
Tuttavia la tv, specie quella di
adesso, che offre una notevole quantità di canali digitali, propone anche
trasmissioni molto interessanti, bei film, fiction gradevoli, documentari che
potrebbero sostituire dieci lezioni di storia o di biologia e, al cospetto di
queste persone, è imbarazzante constatare che, per esempio, non sappiano chi
siano, per esempio, Lilli Gruber piuttosto che Roberto Benigni o Loredana Berté: li tratti un po’ come si
trattano i ritardati o i matti, con quella condiscendenza benevola e un po’
perplessa.
Il punto è che nessun mezzo è, di
per sé, totalmente negativo o positivo, ma dipende da come lo si usa,
affermazione banalissima ma vera. Il nostro cervello è un organo molto, troppo
adattabile, per cui la capacità critica, se non sviluppata, tende a ridursi a
zero e a farci comportare come automi non troppo intelligenti.
Qualche mese fa è apparsa la
notizia di un’anziana che si è suicidata a causa della disumanizzazione dei
rapporti dovuta al web e, in un certo senso, la capisco: una persona
novantenne, abituata ad un mondo che esprime la condivisione con la presenza
fisica, con la telefonata o con la compagnia, deve essersi sentita tagliata
fuori da un mondo delirante, magari da dei figli sessantenni che, invece di
parlare con lei, chattavano su Facebook o fissavano rapiti lo smartphone.
Anche Internet ,come la tv, è
usato male, specie dai giovani ma, purtroppo, non solo: un mezzo che ha quasi
infinite potenzialità viene usato solo per due-tre funzioni- tra le più
deleterie- come leggere per ore post del tutto inutili che punteggiano la vita
quotidiana delle persone. È una sorta di rito ipnotico, un rumore di sottofondo
che impedisce di sentire ciò che si prova, un’anestesia emotiva che riduce il
cervello a una pappa insipida, incapace di andare al di là del vuoto.
Se dovessi descrivere questo uso
di Internet lo definirei come un atto masturbatorio con preservativo, cioè un
surrogato di rapporti reali che potrebbero- oddio, che paura- provocare
emozioni, coinvolgimento, dolore, gioia, conversazione, conflitto, condivisione
reale.
Certo è più comodo non staccare
il culo dalla sedia e avere una parvenza di comunicazione, di compagnia;
sicuramente le persone in carne ed ossa sono più difficili da gestire, più
problematiche; certo è più facile cliccare ‘mi piace’ – magari su un post che
recita ‘ho l’ulcera duodenale’- che non telefonare e chiedere ‘come stai?’.
Davanti al babau della persona
vera si preferisce allora commentare i post dello sconosciuto o, magari,
dell’amico che non vedi da anni. Se tutto questo ha un effetto di istupidimento
in persone adulte, mi chiedo con inquietudine che effetto avrà sulle vite di
quelle generazioni nate col web. Mi
immagino scenari drammatici: robot umani paurosi dell’incontro, persone
incapaci di relazionarsi con l’altro reale e, soprattutto, un’umanità molto più
stupida, incredibilmente ignorante e priva di emozioni. Il Grande Fratello di Orwell, al confronto, è un ipnotista da
circo.
Ho sentito che in Italia esistono
già due cliniche specializzate nella cura dei ‘web sex addict’, cioè di quelle
persone che praticano compulsivamente il sesso online e non sono in grado di
praticarlo nella realtà.
Attendo il momento in cui si
potranno far figli spedendoli come allegato.
© Danila Faenza
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