Dieci anni fa moriva, a soli 53
anni, Giuni Russo, una delle più grandi cantanti italiane e, da certi punti di
vista, l’unica. Voce insuperabile, di stampo lirico, conobbe un grande successo
con alcuni brani che lei stessa definiva ‘canzonette’, pur essendo grata a
quegli hit.
Ogni estate, nonostante il tempo
che passa, sento Un’ estate al mare e
mi viene il mal di fegato pensando che, purtroppo, per gran parte del pubblico
Giuni Russo era quella cantava questo tormentone. Invece era molto di più,
anche se una discografia miope e anche un po’ masochista le ha imprigionato la
voce in nome di un rientro economico facile ed immediato: è veramente stupido cercare
di manipolare un artista in nome del dio denaro e forzarlo a vivere una vita
che non è sua. Anche dal punto di vista economico, il pubblico capisce,
intuisce l’autentico talento e, quando il sedicente artista si dimostra non
tale, lo abbandona dopo l’iniziale entusiasmo: se ripercorrete mentalmente gli
ultimi anni di ‘talent show’ e di alcuni hit rimasti l’unico successo
dell’interprete, perderete il conto dei tanti ‘fuochi fatui’ che ci hanno
propinato.
Giuni Russo, invece, in quest’
intervista, ci insegna qualcosa di importantissimo: che quando una vocazione è
autentica e sincera va seguita fino in fondo nonostante le difficoltà, i
boicottaggi, le momentanee delusioni. Perché quel tipo di predisposizione, di
talento, sono nel nostro Dna, nel nostro
destino, nella nostra anima: chiamate questa ‘chiamata’ come volete, ma fa
parte di noi. Che si tratti di talento artistico, di passione per una
professione o un mestiere o anche, solo, della necessità di una vita
tranquilla, movimentata, spericolata o banale, quello è. E, senza la tensione
verso quella meta, la vita perde di significato. I riconoscimenti, anche se spesso
postumi, testimoniano che Giuni Russo era riuscita, nonostante gli ostacoli, a
trovare il senso della sua vita, il che non è poco.
© Danila Faenza
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