mercoledì 16 dicembre 2015

Il jukeboxe del passato: Mango, Tu...sì

Pochi giorni fa ricorreva il primo anniversario della morte di Mango, morte inaspettata e sconvolgente per coloro che assistevano al concerto in cui si è sentito male ma, soprattutto, per i suoi familiari.
L’Italia è un Paese anomalo: generalmente non riconosciamo il ‘genio’ se non dopo la morte, qualche volta nemmeno in questa circostanza; altre volte, al contrario, creiamo dei falsi miti intorno a persone pochissimo dotate o dotate esclusivamente o quasi di ‘qualità’ esteriori come la bellezza, la gioventù, la spavalderia, l’inconsapevolezza, l’arrivismo fine a se stesso (vedi i gieffini, i tronisti, le veline, i trombisti, nani e ballerine). Peccato, perché le ‘eccellenze’ della nostra terra sono ben altre.
Personalmente credo che Mango sia stato un interprete non grande ma enorme grazie alla sua vocalità, unica e dal timbro particolarissimo; come musicista aveva una sua ‘cifra’, nel senso che le sue musiche portavano la sua firma: se avevi un minimo di sensibilità musicale capivi che quella canzone l’aveva scritta lui anche se era interpretata da Loretta Goggi, da Mia Martini, da Loredana Berté (e comunque non parliamo di starlette, ma di grandi interpreti)
Si trattava di una musicalità che, da profana’, definirei ‘aperta’, nel senso che, nell’inciso, le sue canzoni mutavano di melodia e si espandevano in maniera ‘mediterranea’, aldilà della struttura iniziale del brano.
Un esempio per tutti sia Tu... sì  , brano presentato al Festival di Sanremo nel 1990 e scritto da Mango e dal fratello Armando: nell’album che ospita la canzone, molti brani sono scritti, per la parte letteraria, da quel mostro di bravura che è Mogol; tuttavia la differenza non si percepisce, perché è la musica a portarci in un'atmosfera unica.
Oltre alla tecnica, si percepisce l’ispirazione, l’anima, l’originalità dell’artista.
Come Domenico Modugno, Giuni Russo, Mia Martini, Pino Daniele, Lucio Dalla e Lucio Battisti, Mango era un artista unico, insostituibile. Ci mancherà la sensualità del suo timbro e del suo falsetto, la mediterraneità della sua voce, la sua bellezza, la sua ritrosia all'esposizione mediatica, inversamente proporzionale al suo talento, la sua originalità di compositore e di interprete.



© Danila Faenza

martedì 3 novembre 2015

Pasolini: 40 anni senza la sua voce

In questi giorni tutte le reti televisive hanno commemorato, in svariati modi, la morte di Pier Paolo Pasolini, assassinato il 2 novembre del 1975, a soli 53 anni.  
Nato a Bologna dal matrimonio tra un ufficiale dei carabinieri romagnolo e una maestra friulana, Susanna Colussi, visse in svariate località a causa della professione paterna. A Bologna, in  via Borgonuovo 4, dove nacque, c’è ancora una targa che lo ricorda.
Sulle dinamiche della sua morte ancora permangono molti dubbi, a causa di testimoni reticenti e circostanze poco chiare, sottolineate sia dalla sua amica del cuore, Laura Betti, sia da altre autorevoli voci (dalla giornalista Oriana Fallaci al regista Marco Tullio Giordana che, nel suo film Pasolini, un delitto italiano -1995-, evidenzia le contraddizioni emerse nel processo a Pino Pelosi, l’uomo ritenuto il solo responsabile dell’omicidio).
Negli ultimi anni, peraltro, Pelosi, pur avendo già scontato la condanna, ha raccontato altre versioni del fatto, ammettendo che l’omicidio dell’intellettuale sarebbe stato perpetrato insieme ad altre persone- cosa da sempre ritenuta probabile- e in conseguenza della richiesta di un riscatto del furto di alcune ‘pizze’ di un film di Pasolini.
Qualsiasi cosa sia successa quella notte , al tempo la reazione dell’opinione pubblica, in generale, fu quella di chiudere il caso come la naturale conseguenza di una devianza – quindi di una colpa- consistente nell’omosessualità , ‘aggravata’ dal comprare il sesso facile con ragazzini poveri – e sfruttabili- nei bassifondi di Roma.
Questa ‘pubblica sentenza’ fu certo agevolata dalla ‘scomodità’ del personaggio Pasolini, una delle voci intellettuali più raffinate e ‘fuori dal coro ’ della cultura italiana.
Cattolico, comunista e omosessuale dichiarato: tre concetti che, all’epoca, facevano a pugni l’uno con l’altro. Eppure, aldilà dei risultati della sua arte, a volte controversa come lui, di un Pasolini avremmo proprio un gran bisogno, in quest’epoca di conformismo lineare anche nel cosiddetto ‘politicamente corretto ’. In un Paese di pecore, ci sarebbe un gran bisogno di menti libere come la sua, che attraversano trasversalmente le arti come le ideologie, smascherando le ipocrisie non più ‘borghesi’ ma di costume, di politica, di fede, di contraddizione tra i falsi miti che si hanno in testa e la ‘pratica’ del vivere quotidiano.
Speriamo che, prima o poi, sia fatta luce su questo omicidio che non fu solo vigliacco e scellerato, ma anche –in qualche modo- politico.
Del legame fortissimo di Pasolini con la madre si è sempre saputo, scritto, speculato. Ma vero è che testimoni oculari, durante il suo martirio, lo sentirono invocare ‘mamma, aiutami mamma’, come tutti i comuni mortali quando sentono avvicinarsi il pericolo e la morte.
Questo è uno dei tanti elementi che ce lo rendono ancora più umano.
Alla sua terribile agonia, la musicista Giovanna Marini ha dedicato questo brano, ispirato all’Orazione di San Donato (http://wikitesti.com/index.php/L'orazione_di_San_Donato) .
Ascoltiamolo, ne vale la pena.

sabato 1 agosto 2015

Per sempre la nostra Mimì

Ieri sera, 31 luglio 2015, è andato in onda, su Rai Uno, il programma Per sempre Mia, per ricordare Mia Martini. Non intendo entrare nel merito della qualità del programma, delle esibizioni, delle partecipazioni: in questa sede mi interessa solo parlare di lei, del suo talento, del suo destino.
Personalmente credo che Domenica Berté, in arte Mia Martini, fosse una predestinata, nel senso che non avrebbe potuto eccellere in nessun campo se non in quello della musica.
Non è un privilegio di molti: solo pochi nascono col ‘pallino’ del medico, dell’orafo, dell’ingegnere’, del falegname, del poliziotto, dell’insegnante. Tutti gli altri si adattano, ma se sei nato con una sorta di ‘marchio’ nel DNA non troverai pace finché a quel DNA non corrisponda il tuo destino.
Così, credo, sia stato per Mia Martini.
Metti che nasci con una vocazione (evento raro) e che tu, riguardo a quella vocazione, sia un’eccellenza nel senso che sei una delle migliori in quel campo.
Metti che nasci in una famiglia che ti sega e ti segna, fin dall’ inizio,facendo marcire quelle radici di amore di cui ognuno ha bisogno per sopravvivere e trovare la forza di vivere: padre che c’è e non c’è, che quando c’è mette incinta la madre e poi la carica di botte fino a farla abortire, che ti picchia a sangue se non vai bene a scuola, se non sei come lui vuole.
Metti che hai una madre acquiescente e speranzosa nel riscatto sociale delle figlie, salvo vendere la casa (e tutto quel che conteneva) a lei ingenuamente intestata da Loredana.
Metti che sei una delle più intense e grandi interpreti europee (ndr: seconda a Mina, come è stato detto nel programma? Lasciamo stare Mina nel suo pertugio svizzero e basta…) ma che tutto questo si scontri con la tua vita affettiva, perché ti sei innamorata di un uomo che ti ama come donna ma  che ,come cantante, fa fatica ad accettarti perché è meno famoso di te e quindi un po’ ti invidia ed è geloso della tua autonomia (che comprende denaro, celebrità, relazioni che non può controllare, potere contrattuale, etc.)
Metti che, a un certo punto, gli addetti ai lavori e i colleghi (per esempio una che, all’epoca, era famosa per canzoni dall’alto contenuto artistico come ‘il kobra non è un serpente ma un pensiero frequente’) ti accusino pubblicamente di essere la causa di disgrazie e che, soprattutto, a queste stronzate credano gli impresari, i manager, i discografici, i musicisti, i fonici, etc. Ricordo queste voci, così insistenti e ‘virali’ da raggiungere anche il pubblico; all’ epoca ero un’adolescente e ci scherzavo sopra, stupidamente come tutti gli adolescenti, ma per me Mia Martini era comunque il massimo, l’adoravo e compravo i suoi dischi, senza pensare alla ‘sfiga’.
Metti che, a un certo punto, tutto questo stress ti provochi dei problemi di salute (Freud non era un pivello) per cui devi operarti alle corde vocali e quindi il tuo timbro cambia, come cambia la tua estensione vocale. Metti che magari hai paura di non essere più all’ altezza della tua fama e che, a quel punto, decidi di chiudere la tua carriera di cantante (destino che era  nel tuo DNA) e che ti ritrovi a non avere più una lira, per cui chiedi aiuto alla sorella maggiore, che ti ospita e ti  propone un lavoro da impiegata, lavoro che –ti rendi conto- non è per te.
Metti che sei depressa al punto che uno come Francesco De Gregori ti telefona e ti propone una canzone splendida come La donna cannone e tu la rifiuti perché quello che è il senso della tua vita- cantare- per te non esiste più.
Metti che, ogni tanto, spinta dalla tua vocazione viscerale, provi a proporre delle canzoni bellissime, come E non finisce mica il cielo al Festival di Sanremo ma che il ‘popolo bue’ non capisce perché Fossati -autore del pezzo- non è ancora di moda e tu sei una ‘che non è più nell’hit-parade’.
Metti che hai desiderato un figlio e non l’hai avuto perché l’uomo da cui lo volevi non era disponibile ad averlo con te.
Metti che, dopo anni di tribolazioni, arrivi l’occasione giusta: una canzone splendida come Almeno tu nell’universo e una persona intelligente come Adriano Aragozzini (se non erro sollecitato da Renato Zero) che si batte per farti partecipare a Sanremo, con un successo incredibile e il pubblico (televisivo e non) in visibilio per aver ritrovato l’interprete tanto amata.
Metti che poi, dopo questo successo, gli addetti ai lavori hanno pensato che era il caso di ‘coltivare’ di nuovo Mimì, perché rendeva in termini economici. Tutti salgono sul carro del vincitore, quando c’è da guadagnare.
Metti che passa qualche anno di ritrovata popolarità, ma  appesantito dal logorio di tanta fatica, di delusioni umane e professionali, di lotte contro una coalizione di dementi,  in un contesto sociale ed economico in cui la vendita dei dischi non è più il metro del successo, perché la pirateria –online e non- esiste già.
Metti che sei vicina ai 50 anni e fai una botta di conti: avevi fama e successo e l'hai perso per l'invidia e l'idiozia di anime 'brutte'; eri benestante ma ti sei trovata a non lavorare per anni e adesso hai 350 milioni di debiti; la sorella più vicina a te, per età e per affinità, paga anche lei il prezzo di uno squilibrio familiare e, anche se vi amate tanto, litigate spesso; l’amore che avevi non sa più il tuo nome e, nonostante questo, lo rimpiangi; gli amici, quando la musica è finita, si rintanano nei loro bunker esistenziali e non ti cercano mai.
Allora, visti tutti i rapporti fallimentari, ti viene in mente di andare a cercare un padre che non c’è mai stato e che, per il poco che c’è stato, ti ha massacrato. Eppure lo fai nell’ estremo tentativo di riabilitarlo, di comprendere quello che, forse, nemmeno lui non hai mai compreso. Tentativo disperato di razionalizzare dinamiche assurde, problemi tra genitori –nel senso letterale di chi genera e BASTA- di cui le figlie hanno pagato un prezzo terribile. Un’ultima spiaggia, probabilmente una delusione così devastante da essere inconfessabile.
Troppo generosa, Mimì.
Metti che, a quel punto, forse non si sa neanche come, una grande stella della musica, l’interprete più grande della canzone italiana, si ritrova in miseria (perché, tra le altre cose, Roberto Murolo, non le ha dato una lira dei diritti che le spettavano per Cu ‘mme).
Tutti l’hanno tradita, tutti l’hanno ignorata, sottovalutata, sputtanata, sfruttata, non riconosciuta.
Metti che, allora, non te ne freghi più niente della vita. Chi ha visto gli ultimi video –alcuni amatoriali- può vedere chiaramente un volto disperato, che piangeva mentre cantava, che cantava leggendo sul leggio, che s’interrompeva  per il malessere.
Allora può anche succedere che una così, una non grande ma immensa, si rifugi in un appartamento squallido in un condominio squallido di in paesino squallido accanto a un padre che non c’è mai stato.
E che urli, silenziosamente, il proprio dolore, che rimbalza come un’eco sulle pareti di una stanza anonima. E che non abbia più voglia di star male, di combattere con un mondo di cretini, di menefreghisti e di stronzi; che non abbia più la forza di fare i conti con le delusioni familiari, di lottare con le mediazioni della vita, di lavorare come un mulo sapendo che difficilmente potrai sopravvivere e pagare i debiti, consapevole che la gente che ti vede ai concerti e in televisione ti pensa come una privilegiata, famosa e ricca.
Molti credono che basti apparire in tv per essere benestanti e senza problemi, perché si identifica il talento (vero o presunto) col denaro, ma non è affatto così. 
Si parla tanto di valori, come quello della solidarietà, ma sono solo specchi per le allodole, frasi vuote di chi si dichiara ‘di sinistra, cristiano, etc.’. La realtà è che viviamo, da tanti anni, in un mondo privo di valori concreti, in cui purtroppo ‘amore, amicizia, solidarietà, civiltà’ sono solo parole vuote, sempre meno praticate nella realtà. Giorgio Gaber cantava ‘se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione’ , ma da tanto tempo le idee passano per il cervello e, quando arrivano allo stomaco, vengono vomitate.
Mimì è un esempio di questa trascuratezza, di questa noncuranza, di questo menefreghismo. E se è stata ignorata lei, che era quel che era, possiamo immaginare il resto del mondo.
Per fortuna, lei aveva un talento ed un carisma grazie al quale verrà ricordata per sempre:  per fortuna nostra, non sua.
Vi lascio con questa splendida canzone, scritta dall’amore della sua vita, che non sa più il suo nome.

© Danila Faenza 

lunedì 18 maggio 2015

Più poveri, più obesi. Ma non è una condanna.

Chi ha una certa età forse ricorda che, negli anni ’80, quando anche in Italia si diffusero i fastfood, i nutrizionisti, i medici, i dietologi e la qualsiasi lanciarono l’allarme contro questo tipo di alimentazione.
A parte il fatto che sono contro le demonizzazioni, a distanza di 30 e più anni devo dire che quelli erano falsi allarmi, perché la ‘nostra’ dieta, cioè la dieta mediterranea, è talmente buona, sana e variata che il McDonald, tanto per intenderci, per noi è uno ‘sfizio’, una variante tra le tante come il ristorante cinese, greco, messicano, macrobiotico, giapponese, africano, vietnamita o vegano (a proposito, cosa mangiano in Scozia e/o in Australia?).
Il fatto che nel nostro Paese non abbia attecchito l’abitudine di pranzare o cenare abitualmente nei fastfood o con i take-away (di qualsiasi tipo) è da considerarsi una vera fortuna, dal punto di vista della salute.
Negli ultimi due anni ho visto all’incirca una quindicina di trasmissioni (prodotte nel Regno Unito e negli USA) sui problemi legati alla grande obesità, problema molto diffuso oltreoceano; parliamo, tanto per intenderci, di persone che pesano dai 130 ai 300 chili, con punte preoccupanti in certi stati o città: un servizio sconvolgente riguardava una cittadina degli States in cui sono fiorite, per necessità, aziende di pompe funebri specializzate, diciamo così, in taglie forti. Il titolare di una di queste ditte affermava che, riguardo al settore infantile, avevano richieste per almeno 13 bare all’anno.
Si tratta di persone che, nella maggioranza dei casi, non riescono più ad essere autonome a causa del peso: spesso vivono a letto e, per lavarsi, necessitano di una ‘piscina’ da giardino o di persone che si prendano cura della loro igiene lavandoli con spugne o con ausili medici; questa condizione di vita comporta complicazioni come il diabete, pressione alta, malattie cardiovascolari e respiratorie, trombosi, flebiti, infezioni dovute a piaghe da decubito e da tessuti a contatto con altre parti, masse tumorali linfatiche benigne talmente enormi  che impediscono la deambulazione. 
Viene da chiedersi, ovviamente, come sia possibile raggiungere un livello talmente alto di obesità , tale da mettere in pericolo la vita. C’è da dire che, dietro alla maggior parte di queste storie, ci sono lutti non elaborati, abusi subiti durante l’infanzia, traumi molto forti; tuttavia queste non sono situazioni rare e/o legate alla zona di provenienza: quanti di noi possono riconoscersi in questi ‘incidenti’ esistenziali senza avere problemi patologici legati al peso?
Forse è vero che, soprattutto negli Usa, una scarsa dimestichezza con la propria psiche, legata ad una cultura pragmatica e quasi indenne dalla profondità della visione psicoanalitica, porta a dare minore importanza agli aspetti psicologici profondi legati al disagio. Però, a parte questo, ci sono anche cause che dipendono dallo stile di vita e dalle abitudini alimentari.
Facendo un rapido riassunto, una colazione-tipo di queste persone consiste in:
due-tre uova fritte con due-tre fette di bacon accompagnate da 3-4 fette di pane da toast fritte nel burro  e due- tre salsicce (o wurstel), un’abbondante porzione di purè di patate con funghi e una porzione di fagioli stufati. Praticamente quel che io mangerei in due giorni.
Il pranzo, generalmente, consiste in:
a)     tre o più hamburger con patate fritte; pasta in scatola, in busta; tre o più hotdog con patate fritte, ciambelle fritte, cioccolatini, frappé
b)     pesce fritto con patate fritte (quantità industriale); oppure kebab super unto con pane fritto, cibo cinese da asporto (porzione individuale: due-tre involtini primavera, nuvole di drago in quantità impossibili, spaghetti di soia conditi con maiale, vitello, dromedario e cane obeso; maiale in agrodolce, riso alla cantonese e cantoniere al curry)
c)    pizza (e non si tratta della pizza nostrana, ma di una ‘pizza’ la cui base è circa due centimetri di altezza, condita su ogni millimetro di superficie con salsiccia, bacon, wurstel, salame piccante, formaggi e altri ingredienti ‘sospetti’) più patate fritte, un paio di panini (hotdog e/o hamburger), ciambelle fritte, ali di pollo fritte, ali di pipistrello in salmì condite con lardo di civetta.
La cena, più o meno, ricalca il pranzo (con qualche alternanza, per fortuna).
Ovviamente, tra la colazione e il pranzo e il pranzo e la cena, ci sono dei ‘necessari’ spuntini (tanto per non morire d’inedia) che consistono sempre nelle stesse cose: hotdog, hamburger, ciambelle fritte, pollo fritto, patate fritte, kebab, coyote (ovviamente fritto), pelo di cammello come contorno.

Il tutto è consumato senza una goccia d’acqua, ma esclusivamente con bibite gassate (nell’ordine di 3-4 litri al giorno). Non parliamo poi di verdure, insalate crude, alimenti vegetali, del tutto banditi.
Ora capisco perché gli americani conosciuti in Rete mi sbeffeggiavano dicendo che la pasta e la pizza ingrassano: per loro la pizza o gli spaghetti  tanto per dire, sono solo uno degli elementi di un condimento dall’ aspetto ‘sinistro’ e pieno di unto.
Aldilà di questo (senza contare la quantità), un elemento colpisce: più le persone sono povere, più mangiano in questo modo,: in questi Paesi –come, ormai, in Italia – un alimento da fast food  costa molto meno di un equivalente cucinato a casa, ma è molto meno nutriente e meno sano. Quasi nessuno di questi grandi obesi cucina, ma si serve di cibo da asporto.
La nostra cucina mediterranea, se genuina, è molto più conveniente e salutare: un piatto di spaghetti aglio,olio e peperoncino – per fare un esempio- costa molto meno di un hamburger economico; una pasta e fagioli, per quanto condita, è molto più salutare e nutriente di un hotdog e costa meno.
C’è chi, per convenienza, conformismo o stupidità, ripete in continuazione lo slogan per cui, in cinese, la parola ‘crisi’ equivale ad ‘opportunità’. Beh… ho dei seri dubbi in merito, ma riguardo all’ alimentazione direi che questo, per noi, potrebbe essere vero.   Anche in Italia, a causa della crisi, si è registrata una tendenza alla cattiva alimentazione ma, nel nostro caso, noi abbiamo più risorse culturali, dal punto di vista gastronomico: ogni regione ha moltissime tradizioni di cucina ‘povera’ e sana; la pasta si può condire in tantissimi, economici modi; i cereali, che abbiamo trascurato negli ultimi decenni, sono sempre stati una risorsa energetica preziosa e una ricchezza proteica; il pesce azzurro è tra i più salutari e costa pochissimo; della carne, dicono i nutrizionisti, non si dovrebbe abusare e, consumandola due-tre volte a settimana, possiamo alternare le carni ‘pregiate’ a quelle alternative, più economiche ma non meno ricche di nutrienti; abbiamo una grande varietà di verdure e frutti con cui poter alimentarci, non necessariamente spendendo una fortuna, se evitiamo le primizie. Una regola della buona alimentazione è la varietà dei cibi e, forse, poche nazioni al mondo hanno una così grande quantità di cibi, ricette e tradizioni culinarie. Riscopriamole, senza abbandonarci all’abitudine data dalla pigrizia.


© Danila Faenza

lunedì 11 maggio 2015

Ci manchi, Mimì

Vent’anni fa, presumibilmente tra l’11 e il 12 maggio, Mia Martini ci lasciava, consapevolmente o no . Nello specifico a me non interessa, come non mi interessa la causa scatenante. So solo che, per la prima e unica volta nella mia vita, ho pianto per la perdita di un personaggio pubblico e questo non perché sia cinica ma perché, per come sono fatta, le emozioni devono essere davvero molto forti per esprimerle col pianto.
Per me Mia Martini era e sempre sarà unica. Se mi chiedete il perché non so spiegarlo, se non con le parole di Sant’Agostino, che affermava  “Chi canta prega due volte”, perché il canto,se ci pensiamo bene, è la prima forma d’arte in quanto realizzabile senza altri strumenti che non siano il corpo umano: noi possiamo realizzare una melodia, una musica nella nostra mente e riprodurla con le corde vocali, senza bisogno di parole, di segni disegnati, di strumenti tecnologici. Perfino la danza, espressa col corpo, necessita di una musica o di un ritmo ‘interno’.
Poi, rispetto a questo, ci sono i ‘puristi’, i ‘tecnici’ o, come si dice oggi, i ‘coach’; sta di fatto che il brano che qui Mimì canta, era già stato cantato da altri, ma nessuno era (e, credo, mai sarà) capace di esprimere il senso più profondo della canzone, testo e musica unite: la forza di Mia Martini era quella di trasmettere, attraverso la voce, il vissuto di un’anima. La perfezione (?) tecnica di altre interpreti può essere gradevole, ma spesso fredda e/o monocorde. Di Almeno tu nell’universo  sono state fatte alcune cover, ma deludenti per chi amava e ama la visceralità di Mimì, visceralità  dovuta anche (ma non solo) ad esperienze forti, ad una vita difficile, alla capacità di trasmettere al pubblico una forza, un’energia, un sentimento, un dolore.
Mia Martini ci manca. Manca a me come a migliaia di suoi fans, che di lei recepivano la profondità, la sensibilità, l’intelligenza emotiva, virtù sempre meno apprezzate.
Voglio ricordarla con questo splendido brano, scritto dal suo ex Ivano Fossati, canzone che- cantata da lei e solo da lei- comunica la disperazione di chi sa, sente che, nonostante le parole dette, ‘il dolore non passerà ’. Ma ora, speriamo, è certamente passato.
Ciao Mimì, ti vogliamo bene.


© Danila Faenza 

venerdì 8 maggio 2015

Bag It, i danni della plastica



Spesso, davanti alla crescita esponenziale di alcune malattie, ci si chiede il perché.
Rispetto ai tumori, per esempio, è chiaro che, rispetto al passato, i motivi sono molteplici: a) impossibilità, nel passato, di diagnosticare la malattia, da cui deriva –statisticamente- un  aumento solo teorico; b) cambiamenti ecologici, specie nelle metropoli dove le emissioni delle fabbriche  e l’inquinamento dovuto al traffico sono elementi importanti; c) le abitudini alimentari, che sempre più frequentemente sono dannose per vari tipi di patologie; d) variabili individuali dovute alla genetica, allo stile di vita, etc.
Tuttavia, a volte, ci sono enunciazioni assurde, come quelle che lessi, anni fa, rispetto al tumore al seno, in una struttura sanitaria pubblica della mia città.
Secondo questo vademecum i rischi , per questo tipo di tumore, aumentavano nel caso di:
a)     sviluppo precoce
b)     sviluppo tardivo
c)      gravidanze multiple
d)     gravidanza tardiva
e)     nessuna gravidanza
f)        aborti spontanei o procurati
g)     contraccezione orale (leggi: pillola contraccettiva e/o assunzione di ormoni, cura che spesso viene prescritta per patologie ginecologiche)
h)      allattamento al seno
i)        gravidanza senza allattamento al seno
j)        menopausa precoce
k)      menopausa tardiva
l)        familiarità (cioè casi di tumore al seno in famiglia)
m)   fumo (che, potremmo dire, fa male per qualsiasi cosa)
n)      alcool (idem)
o)     mancata prevenzione (anche se poi, purtroppo, aumentano i casi di donne giovanissime che non avrebbero, in teoria, nessun motivo di prevenire o donne adulte che, pur prevenendo, si ammalano)

In conclusione: quale donna non rientra in questa categoria?
Sembra essere uno di quei casi in cui, praticamente, come ti muovi ( o non ti muovi) sbagli.
In questa sorta di ‘politica del terrore ’ manca però un’analisi generale che spieghi come mai tutte queste tipologie di donne, nel passato, non si siano ammalate di  tumore al seno o che, perlomeno, siano decedute per altre patologie.

Lo stesso dicasi rispetto al tumore della prostata, praticamente endemico negli uomini (purtroppo anche giovani, intendendo la fascia generazionale dei cinquantenni).
Ebbene, un documentario americano mi ha aperto gli occhi su queste patologie così specifiche: si tratta di Bag It di  Jeb Barrier, un documentario del 2010 che spiega gli effetti (impensabili) e dannosi della plastica: tra questi, l’aumento dei tumori al seno e alla prostata.
I nostri Comuni, invece, ci spingono a riciclare questo prodotto (probabilmente con ulteriori danni ambientali) sostanzialmente dannoso. Non è questa la strada, a quanto pare… Ovvero, è la strada dell’industria, non quella della salute.


© Danila Faenza 

martedì 28 aprile 2015

Salviamo il Trota!

A volte leggo/sento notizie che dovrebbero far imbestialire e invece fanno ridere. Per esempio, stasera, il rinvio a giudizio per ‘spese pazze’ di alcuni consiglieri della regione Lombardia, tra cui Renzo Bossi, figlio di Umberto ( per intenderci, ‘il Trota’).
Intanto la cifra scialacquata  (quasi 16.000 euro) è davvero ridicola rispetto alle strutture pubbliche (scuole, ospedali, carceri) realizzate e mai usate in questo assurdo Paese in cui ogni appalto è una scusa per chiamare tutti gli amichetti al magna magna e fare il peggio possibile col maggior lucro realizzabile.
Ma, tornando al Trota, il ragazzo si sarebbe appropriato della somma complessiva di 15.757,21 euro per aver messo in conto spese per caramelle, gomme da masticare, cocktail come mojito, campari e negroni, patatine, barrette ipocaloriche, giornali, sigarette, un iPhone, auricolari, un computer e il libro Carta straccia di Giampaolo Pansa.
Intanto ci complimentiamo con lui per aver speso una minima quota per un libro, giornali (immaginiamo quotidiani, settimanali culturali e in lingua lombarda e celtica, oltre che a qualche copia de Le Ore risalenti al 1983 ), per un computer e per un iPhone, strumenti sempre utili se usati come si deve (per esempio, nel caso dei libri, letti e non usati per accendere il camino).
Secondariamente vorremmo lavorare di fantasia e, nello specifico, mi sottopongo alla prova e quindi immagino: di avere come padre Umberto Bossi (potrebbe essere, se si fosse riprodotto a 18 anni); di essere maschio; di essere riuscito ad entrare nel Consiglio regionale –con stipendio, bonus, privilegi, etc.- e di essere abbastanza disinvolto, disonesto, ingenuo, da pensare di poter accreditare al pubblico il mio piacere privato.
Ecco, attraverso questa mente fervida ipotizzo weekend ‘romantici’ –o scoperecci’- con ‘pupe’ varie in località esclusive o da sogno come Venezia, Malindi o Bergamo bassa, evitando i ‘secchioni’ con cene luculliane a base di crostacei, oppure due tortelloni e mezzo all'anice ripieni di lumache delle Madonie nel resort dello chef di moda o, ancora, un’indigestione di  cassoeula da ‘Ambros el milanes’. Macché... il Trota si è sputtanato 15.000 euro in caramelle, campari, arachidi tostate, semi di girasole per criceti, cedrata Tassoni, salatini riscaldati e misto giapponese da 0,99 cent.
Neanche ‘salmonato’ è il Trota, cioè manco con quella vaga idea di esotico di chi pensa di nuotare nella corrente della moda, del trend, dell’idiozia generalizzata. Niente salmone, ma neanche una decisa controtendenza baccalà.
Insomma, io vorrei spezzare un’arancia per un tipo così e dire che questo reato – se accertato- dovrebbe passare da subito in prescrizione per evidente incapacità di intendere la differenza tra ‘il godersi la vita’ e l’happy hour, tra il voler vivere bene e il sopravvivere alla moda dell’ ape- ndr:aperitivo- e del cazzeggio.

Dato che lo sperpero del denaro pubblico è praticamente endemico in Italia, ci dovrebbe essere una morale – una legge- che stabilisce una differenza tra chi sperpera in modo intelligente e chi lo fa in modo cretino, considerando almeno questo in maniera meritocratica. All’italiana, s’intende: quindi chi non riesce a capire che una grigliata di crostacei annaffiata da Moët et Chandon è meglio dei popcorn col Crodino deve essere assolto per insufficienza. Di quel che volete voi. 
© Danila Faenza

domenica 26 aprile 2015

Il Jukeboxe del passato: Bella ciao, Modena City Ramblers e Paolo Rossi

Questo canto, ovviamente, non è mai stato materialmente dentro un jukeboxe, ma correva per le valli, le campagne e le montagne. È una melodia che sta dentro il nostro dna, nel nostro jukeboxe cromosomico, perché quasi tutti noi discendiamo da famiglie contadine e questo è un canto popolare- quindi di autore anonimo- che, nel corso del tempo, è stato preso come inno da varie categorie.
La melodia sembrerebbe derivare da un canto delle mondine dell’800, donne che per combattere la fatica di un lavoro insalubre e faticoso, si facevano forza col canto. Musica davvero popolare, che pare si innesti su poche note per contaminarsi con altre canzoni popolari di diverse regioni, per arrivare fino ad una ballata del ‘500. E, ancora, c’è chi dice che la derivazione sia ebraica. Comunque sia, a noi è arrivata così e ancora ci parla di uomini e donne che lottavano per liberarsi da un regime che, alleandosi con la Germania, aveva portato il Paese verso l’inferno.


© Danila Faenza 

domenica 5 aprile 2015

Noi, ragazzi di oggi noi...



Il vescovo di Noto, Antonio Staglianò, ha 55 anni, cioè la mia età: ho sempre pensato che la mia generazione fosse (sia) un po’ ‘stranuccia’... 
A volte siamo stupidamente conformisti, altre volte siamo genialmente bizzarri...
Mi verrebbero molti titoli da consigliare al mio notevole coetaneo, ma preferisco limitarmi. 
E va bene così, come direbbe Vasco, senza parole....
© Danila Faenza

mercoledì 25 febbraio 2015

Scoop! Chiara Iezzi a The Voice of Italy

 
Ogni tanto, nella piattezza di questa vita, ci sorprende qualche piccolo miracolo.
Da qualche tempo tutti gli appassionati di musica italiana si chiedevano che fine avessero fatto Paola e Chiara, le due indimenticabili sorelle del pop nostrano.
Stasera, a The Voice of Italy, tutti i fan del duo omo-simbiotico-sororale hanno finalmente tirato un sospiro di sollievo nell ’apprendere che almeno una metà del duo –nella fattispecie Chiara- si  è finalmente ‘rimessa in gioco’ dopo ‘un anno sabbatico’ durante il quale sì è misurata come attrice, performer e solista. Ma, durante  questo periodo, tutti noi, nonostante problemi ben più gravi, abbiamo palpitato ogni dì chiedendoci ‘dove sono, cosa fanno, perché non cantano più?’. Non è giusto tenere il pubblico così sulle spine, deludere in questo modo gli sfegatati fan : quando degli artisti sono a questo livello di eccellenza devono anche prendersi la responsabilità di rispondere alla richiesta del pubblico, che non può vivere senza di loro. Purtroppo.
Ovviamente i giudici del talent – Roby e Francesco Facchinetti, Noemi, Piero Pelù e JAx -sono rimasti stravolti dalle sue capacità vocali e, quindi, caldamente auspichiamo che Chiara, che da bionda è diventata mora, ci delizi ancora e sempre più con produzioni originali e all’altezza della sua arte.
Per ricordare il duo, ora tristemente scoppiato, riproponiamo uno dei suoi capolavori, Ci chiamano bambine, un brano che mette in discussione in maniera filosofica il rapporto genitori-figli.

Tutti i genitori, i pedagogisti, gli insegnanti , le zie, gli psicologi, i presidi e i fabbri dovrebbero ascoltarlo, per capire quando e come dare una mazzata in testa ai ragazzi, escludendo ovviamente le sorelle della musica italiana.
© Danila Faenza

martedì 6 gennaio 2015

Pino Daniele e le polemiche dei napoletani.

La morte di Pino Daniele ha alcune cose in comune con quella di Lucio Dalla: inaspettata e con polemiche di strascico.
Nel caso di Dalla ci furono i ‘talebani dell’omosessualità’ che pretendevano un outing postumo rivendicando ‘l’appartenenza’ del cantautore ad una schiera, una minoranza cui lui non aveva mai dichiarato di appartenere: certo non si nascondeva, ma neanche  sbandierava la sua vita privata di cui, infatti, non parlava praticamente mai.
Nel caso di Daniele, invece, c’è l’arroganza di parte dei suoi fans e dei napoletani che si sentono in diritto di decidere come, dove e quando debba essere esposta la salma, dove vengano celebrati i funerali, dove debbano riposare le sue ceneri.
Viviamo in una società che vuol decidere di te in qualsiasi momento: per legge non puoi decidere se morire quando non ne puoi più e, anche quando muori, c’è chi vuol parlare per te, chi rivendica il diritto di ‘iscriverti’ ad  un club, ad uno schieramento, ad una appartenenza.
Pino Daniele era napoletano, con tutto il suo essere. Ma, se nonostante questo ha deciso di ‘riposare’ a Grosseto, una ragione ci sarà e riguarda solo lui.
Se la famiglia, conoscendolo molto meglio di migliaia di fans, ha deciso di celebrare i funerali a Roma, avrà ritenuto meglio agire in questo senso.
L’appartenenza ad una città, ad un partito, ad una minoranza non significa nulla nel momento in cui uno muore, quindi trovo veramente pretestuose ed arroganti le rivendicazioni dei napoletani che sentono il cantautore come una loro proprietà privata: le persone appartengono a chi davvero le ama e, quando non ci sono più, è la loro arte ad appartenere a tutti. Il resto è solo stupido ed inutile berciare che dimostra solo una dilagante mancanza di rispetto verso le scelte personali.


© Danila Faenza