domenica 28 dicembre 2014

Il pranzo di Natale

Ora che siete satolli delle libagioni natalizie, lancio una sfida: questo è un blog di cultura e il cibo è cultura perché ci parla del territorio, delle sue risorse, delle sue tradizioni. L’Italia è un Paese molto piccolo, ma estremamente ricco di paesaggi, climi, tradizioni. Per non parlare del resto del mondo, che è un territorio sconfinato.
Sono italiana, emiliana, di Bologna, e so che la tradizione del pranzo natalizio è abbastanza diversa addirittura da famiglia a famiglia, figuriamoci se ci espandiamo…
La sfida, quindi, è quella di raccogliere le tradizioni della città, della città allargata alle campagne; e poi all’Italia, all’Europa, al resto del mondo.
Tanto per cominciare, c’è chi fa il cenone del 24 e chi il pranzo del 25 (se li fate tutti e due fate parte di una famiglia bulimica), ma non formalizziamoci.
Cominciamo dal minimo, cioè dal mio pranzo di Natale tradizionale:
1)      gli antipasti sono due: crostini di pane al latte (tipo pane da toast ma al latte: a Bologna si trovano solo in uno dei più antichi panifici bolognesi, nel Quadrilatero): i crostini si friggono nel burro; quando sono freddi, si spalmano di burro misto ad acciughe dissalate; l’altro antipasto è costituito dalla galantina, composto a base di carne di pollo, accompagnata da maionese;
2)      il piatto forte, ovviamente, sono i tortellini (non chiedetemi la ricetta perché gli ingredienti sono sempre gli stessi, ma cambiano le proporzioni e la qualità: questo fa la differenza.) I tortellini vanno cotti rigorosamente in brodo: riempite a 3/4 una pentola molto capiente con acqua fredda, cui aggiungerete una costa di sedano, una cipolla, una carota, un piccolo pomodoro, un ciuffo di prezzemolo e una crosta di parmigiano reggiano. Poi aggiungerete carni di bue: ossobuco, lingua, girello, doppione; a seconda della quantità di brodo desiderata, un quarto o un mezzo di gallina.
3)      il secondo è composto dal carrè di bollito (cioè la carne che avete usato per fare il brodo) e cotechino e/o zampone;
4)      il cotechino e lo zampone sono accompagnati da purè di patate; il misto di bollito, invece, da salse varie:  a) conserva tripla di pomodoro (di una famosa marca parmigiana); b) salsa verde, costituita da un pesto di prezzemolo, aglio, capperi, acciughe sott’olio e uova sode triturate; c) mostarda di Cremona (misto di frutta conservata nella senape); d) friggione (salsa tipica di Bologna costituita da cipolle soffritte in olio a cui va aggiunto abbondante pomodoro a pezzi; il tutto va fatto bollire almeno per mezz’ora)
5)      Il dolce, se siete ancora vivi, è il certosino o il panone e, se volete la ricetta, leggete qui: http://www.bolognawelcome.com/ristoranti/tradizione-culinaria/params/Luoghi_992/ref/Certosino%20di%20Bologna

Ecco, adesso, se volete, in qualsiasi parte del mondo siate, mandate le vostre ricette a danila.faenza@gmail.com: saranno pubblicate col vostro nome o, se preferite, anonimamente (specificatelo). Aggiungete : nazionalità, Paese e Stato  (se siete stranieri), luogo di residenza; luogo di origine della famiglia. Ovviamente sono graditi aneddoti riguardanti le tradizioni locali per il pranzo di Natale.

Grazie in anticipo.
@ Danila Faenza 

venerdì 26 dicembre 2014

Piccoli capolavori in note: Il rimedio la vita e la cura

Per molti, il brano rimanda ad un altro capolavoro, La cura di Battiato. Il tema, infatti, è lo stesso, ma è lo svolgimento che è diverso, sia dal punto di vista musicale che da quello del testo. Il concetto è, se vogliamo, banale: l’amore come salvezza, riparo, rinascita; è un’ideale fin troppo condiviso e, nella realtà, spesso deleterio. Ma nell’arte ha tutta la sua ragion d’essere ed ha ragione Chiara ad affermare che si è particolarmente emozionata a sentire questo brano, perché è davvero bello, intenso, per niente banale: perché quando l’amore tanto desiderato arriva, guarda caso, entriamo nel panico; perché la felicità – o la paura di essa- ci colgono impreparati, quasi allo stesso modo in cui ci coglie impotenti la delusione. L'amore arriva in un momento in cui siamo distratti perché, se ci fissiamo sul trovarlo, lo vedremo ovunque ma non sarà da nessuna parte. Ci coglie impreparati, come sempre accade per i fatti importanti della vita. E anche chi ci ispira sentimenti forti, spesso, è inconsapevole del proprio ruolo, ma non importa.L’importante è un abbraccio, un porto in cui trovare riparo. Magari tremando di paura, ma fermandosi lì perché, almeno per il momento, quello è il rimedio, la vita, la cura.

Il video, diretto da Marco Salom, è girato in una Roma dalla ‘grande bellezza’ ed è interpretato da molte icone del cinema italiano contemporaneo, da Luca Argentero a Claudia Gerini (e tanti altri).


Il rimedio la vita e la cura


Il buio non è niente 
son solo luci spente, 
ma è pieno di intenzioni tradite, 
occasioni sprecate 
gettate via per niente. 
E mi rivolgo a te a te, 
che inconsapevolmente 
luce sei e guida sicura, nel tempo riparo 
dal gelo della gente. 
Crolli pure la casa di gesso, non resti neanche il muro. 
Ho soltanto da offrirti me stessa, 
sarà un posto sicuro. 

Mi hai chiamato in un giorno distratto, 
Dio com'è strano non sono sicura, 
ma col tempo ho capito il regalo: 
tu sei il rimedio, la vita e la cura. 

Niente no 
sei tu tu quel niente, 
perché non c'è cosa giusta o proibita 
in questo schifo di vita 
che mi piaccia come niente. 
E nel tuo abbraccio ho trovato un riparo 
dove mi sto scaldando, 
e se io fossi la tua porta sul cielo, 
tu la mia stanza nel mondo. 

Mi hai chiamato in un giorno distratto, 
Dio com'è strano non sono sicura, 
ma col tempo ho capito il regalo: 
tu sei il rimedio, la vita e la cura. 
Sì la vita e la cura. 

Tu sei 
nello spazio sconfinato di una vita insieme, 
la tua pelle è il mio confine e di questa nostra storia silenziosi e soli, 
scriveremo poi la fine, 
la fine. 

Mi hai chiamato in un giorno distratto, 
Dio com'è strano non sono sicura, 
ma col tempo ho capito il regalo: 
tu sei il rimedio, la vita e... 
Mi hai chiamato in un giorno distratto, 
tu mi hai chiamato in un giorno distratto, 
tu sei il rimedio, la vita e la cura. 
Sei il mio il rimedio, la vita e la cura. 
Sì... 
© Danila Faenza 

martedì 16 dicembre 2014

L’anima nel verso: Walt Whitman, Oh me, o vita

Intitolo così questo appuntamento perché la poesia, se è tale, è una delle più profonde manifestazioni dell’anima. E l’anima, anche se di questi tempi non va molto di moda, è l’espressione più pura di noi stessi.
Stasera Roberto Benigni ha concluso le sue due serate dedicate ai Dieci Comandamenti con una poesia di Walt Whitman, Oh me, o vita. Nato negli Stati Uniti nel 1819 e morto nel 1892, è uno dei più grandi poeti americani. La sua O capitano! Mio capitano, dedicata ad Abramo Lincoln, è stata inserita nel film L’attimo fuggente, ampliandone la popolarità.
Qui riproponiamo la lirica che Benigni ha recitato stasera, proponendoci la visione dell’individualità che, essendo unica, può contribuire all’immensa marea dell’umanità, con un verso o una carezza.

O me, oh vita!
Oh me, oh vita !
Domande come queste mi perseguitano,
infiniti cortei d’infedeli,
città gremite di stolti,
che vi è di nuovo in tutto questo,
oh me, oh vita !

Risposta

Che tu sei qui,
che la vita esiste e l’identità,
Che il potente spettacolo continui,
e che tu puoi contribuire con un verso.

© Danila Faenza


giovedì 11 dicembre 2014

Il jukeboxe del passato: Gianni Morandi, Se non avessi più te


E anche per ‘l’eterno ragazzo’ è arrivato l’appuntamento con il quarto ‘anta’.
Oggi Gianni Morandi compie 70 anni con l’orgoglio di chi, da più di 50 anni, tiene alta la bandiera della musica italiana.
Si sa che la sua carriera non è stata rettilinea poiché, dopo un inizio fulminante, ha avuto molti ‘alti’ e un lungo basso, in tutti i sensi: quando, negli anni settanta, arrivò l’era dei cantautori e delle canzoni ‘impegnate’, visse un momento critico, perché le sue canzoni, come quelle di tanti altri, erano giudicate ‘superate’ e superficiali. Ma fu proprio il basso che l’aiutò a superare quel periodo, nel senso che si iscrisse ad un corso di contrabbasso al Conservatorio di Santa Cecilia.
Al contrario di molti suoi colleghi dell’epoca, per popolarità, fortuna od ostinazione, riuscì a risalire la china e tornare al successo con brani come Grazie perché, Canzoni stonate, La mia nemica amatissima e, soprattutto, quella che è diventata un po’ la sua sigla, Uno su mille ce la fa.
Data la lunghissima carriera, è difficile scegliere una canzone che lo rappresenti e, quindi, abbiamo scelto quella che, a nostro parere, è la migliore. E migliore non significa, a volte, più popolare: Se non avessi più te ha una struttura tutt’altro che semplice e, per questo, è molto difficile da cantare.
Del resto è firmata, per il testo, da Franco Migliacci, uno dei più prolifici e talentuosi parolieri italiani e, per la musica, da Bruno Zambrini e Luis Enriquez Bacalov, grande compositore argentino naturalizzato italiano. La coppia di musicisti ha firmato moltissimi brani di Morandi e di altri interpreti (tra cui La bambola di Patty Pravo, Quand’ero piccola di Mina), ma in questa canzone hanno probabilmente dato il massimo.Per avere l’idea di quanto sia ardua l’esecuzione, ascoltatela bene e provate a cantarla: come recita il suo hit, uno su mille ce la fa.
Bravo Gianni e altri 70 di questi giorni.

© Danila Faenza

lunedì 8 dicembre 2014

Le intercettazioni su Denise: chi non le ha viste?

La notizia è di qualche giorno fa, ma è passata quasi inosservata a causa di notizie più eclatanti e che ancora destano stupore, tipo il caso della ‘mafia romana’. Purtroppo, per chi sia un minimo disilluso, non meraviglia che, nell’amministrazione della capitale, ci fossero ‘pasticci’ che coinvolgevano destra e sinistra, delinquenti ed amministratori, affaristi e ‘filantropi’.
Ma che un caso di ‘scomparsa’ venga riaperto dopo dieci anni per un’intercettazione che risale, appunto, a dieci anni fa, lascia perplessi. Parliamo, per chi non l’avesse capito, della scomparsa di Denise Pipitone, sparita da casa il 1° settembre del 2004; l’intercettazione, registrata il 1° ottobre (quindi dopo solo un mese dalla sparizione della piccola), è stata resa nota solo pochi giorni fa, durante il processo d’appello che vede imputata la sorellastra di Denise, Jessica Pulizzi, la quale –durante una conversazione con la sorella- affermerebbe che la bambina sarebbe stata uccisa dalla loro madre, tradita dal marito, padre naturale di Denise.
Perché questo elemento, molto importante, non è mai emerso prima? Al di là della veridicità dell’affermazione, com’è possibile che nessuno, in dieci anni, l’abbia reso noto?
Si parla molto delle lungaggini della giustizia italiana, ma un fatto del genere è inconcepibile: quanti soldi sono stati spesi per quelle intercettazioni, per l’impegno di mezzi e uomini, per processi, interrogatori, indagini?
E, soprattutto, quante energie ha speso Piera Maggio, la mamma di Denise, per cercare la sua bimba, per lanciare appelli, per tenere viva l’attenzione sul suo caso? Quante notti insonni, quanto dolore, quante lacrime, quante speranze frustrate ad ogni segnalazione, quante preghiere, quanta disperazione avranno fiaccato il suo animo? Possiamo solo, lontanamente, immaginarlo.
Dov’erano quelle intercettazioni? Perché nessuno, in 10 anni, le ha lette? Chi non le ha viste?
È un fatto inaccettabile, inconcepibile. Se il contenuto di quei file rispondesse al vero, lo Stato dovrebbe lautamente risarcire Piera Maggio per i suoi dieci anni di dolore, per lo smarrimento, la pena, l’angoscia. Questo non le ridarebbe sua figlia, ma almeno la risarcirebbe, parzialmente, per tanta pena.
Di questi tempi, l’Italia sembra essere tornata un paese di sudditi, non di cittadini. E invece lo Stato dovrebbe pagare per la sua inefficienza, per la sua lentezza, per la sua superficialità.
Questo sarebbe, è doveroso.

© Danila Faenza



Il Jukeboxe del passato: Mango, Lei verrà

Questo è uno di quei casi in cui dispiace ricordare una canzone,  anche se bellissima.
Morto mentre cantava Oro, scritta trent’anni fa, Mango aveva compiuto 60 anni il mese scorso. Prima di raggiungere il successo fu notato da altri artisti, che reinterpretarono alcune sue canzoni, tra cui  Se mi sfiori da Mia Martini, Sentirti e Per amarti d'amore da Patty Pravo, ma sarà solo dopo nove anni dal debutto che il pubblico inizierà ad amarlo, proprio grazie a quel brano che stava eseguendo quando si è sentito male.
Il grande successo arrivò due anni dopo al Festival di Sanremo con Lei verrà, scritta insieme ad Alberto Salerno, marito di Mara Maionchi (che contribuì al successo di Mango consigliandogli di cambiare il testo di Oro). Come spesso capita, il brano arrivò 14° ma conquistò il pubblico.
Da allora Mango non si è mai ripetuto ma ha sempre sperimentato nuove sonorità e ha continuato a scrivere per altri (come Fare l’amore per Mietta, Io nascerò per Loretta Goggi, Re per Loredana Berté, tanto per citare le canzoni più famose).
La sua voce particolarissima e inconfondibile era una delle ragioni del suo successo, insieme allo stile musicale.
Vogliamo ricordarlo proprio con la sua esibizione all’Ariston del 1986, quando era molto giovane, bello e con un grande futuro ad attenderlo.
© Danila Faenza

mercoledì 3 dicembre 2014

Femminicidio: le colpe delle donne


Notizia degli ultimi giorni: un  signore, dopo aver assassinato la moglie, ha postato su Facebook la frase ‘Sei morta, *****’. In poche ore più di 300 cretini hanno cliccato ‘Mi piace’ e, tra loro, almeno 200 sapevano che quel post corrispondeva al profilo di un vero assassino. Probabilmente più della metà di loro ha visto nel delinquente un ‘eroe’ che ha avuto il ‘coraggio’ di fare quel che anche loro fantasticano, visto che attualmente il numero delle donne uccise dai partner o dagli ex si aggira intorno ai 170 all’anno.
Lo scorso 25 novembre era la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e la rete Real Time ha trasmesso un documentario, Storie di violenza domestica, interessante e per niente banale (http://www.realtimetv.it/video/storie-di-violenza-domestica-ep-1-parte-1/). Tuttavia, nel corso del programma, si è fatto riferimento ad un possibile elemento che scatena la violenza, il solito luogo comune: l’indipendenza delle donne, la loro emancipazione.
Ecco, questo è una di quelle affermazioni che mi mandano in bestia, perché non è solo negli ultimi 15 anni che le donne si sono emancipate, perché credo non sia la motivazione ma, forse, una delle motivazioni in un esiguo numero di casi.
Molti anni fa, parlando con un’amica del crescente numero di violenze sulle donne, ‘profetizzai’ che sarebbero cresciute in modo esponenziale e la realtà mi ha dato ragione. A volte dispiace aver avuto lungimiranza, ma a mio parere gli elementi per prevedere un’escalation del fenomeno erano sotto gli occhi di tutti e mi chiedo perché nessuno, tuttora, li veda.
Innanzitutto la crisi economica, che per alcuni è storia recente perché ‘i ristoranti sono pieni’, era già concreta col passaggio dalla lira all’euro, quando i prezzi sono stati selvaggiamente raddoppiati senza alcun controllo e gli stipendi sono rimasti gli stessi. Il resto è storia e non è necessario avere una laurea in sociologia per capire che le difficoltà economiche non sono mai un fattore di serenità ma, al contrario, esasperano gli animi, aggravano le tensioni e fanno lievitare i problemi.
Secondariamente - ma il punto credo sia molto importante- mentre le donne, quando hanno un problema, tendono a parlarne, gli uomini – nella maggior parte dei casi- fanno finta di nulla, specialmente se si tratta di problemi relativi alla coppia. L’amicizia, che per le donne è spesso rifugio, consiglio, confidenza, per i maschi è aperitivo, calcetto e pacca sulle spalle.
Tutto questo accade in un momento storico di enorme solitudine degli individui, che sempre meno comunicano realmente.
Le situazioni di aggregazione che un tempo riunivano le persone intorno ad obiettivi comuni, come per esempio la politica, gli interessi culturali o il banale desiderio di chiacchiere, sono sempre più rare o esistono nel web, come succedaneo di partecipazione reale.
La parola amicizia è stata svuotata di senso, sostituita nella maggior parte dei casi da rapporti virtuali totalmente privi di significato. Il web, per molti, è un mormorio di fondo in cui perdersi per scacciare la noia, dimenticare la realtà, affogare le proprie angosce, stordirsi con giochi elettronici, leggere stralci insignificanti delle vite quotidiane di sconosciuti, ‘condividere’ vacanze e lamentele per farsi notare.
Tutto questo è ben lontano dalla vera amicizia, che è aggregazione, convivialità, scambio, confronto, consiglio, confidenza, affetto, vicinanza, condivisione reale del bene e del male della vita. Le delusioni d’amore, le rotture affettive, i divorzi, fino ad un passato non così lontano si superavano anche grazie alla presenza di amici che portandoti a bere un bicchiere, ascoltando fino alla nausea gli stessi racconti, distraendoti in tanti modi, ti aiutavano, nei momenti più bui, a staccarti almeno per qualche ora dal problema.
L’isolamento in cui però oggi vivono le persone e le coppie è spesso reale, al di là dell’illusione virtuale di avere tanti ‘amici’. In questo deserto di umanità anche la più insoddisfacente o conflittuale relazione a due sembra l’unico porto sicuro per barchette sperdute in un oceano minaccioso.
Ne consegue che se una donna decide di allontanarsi dal proprio partner, a molti di questi uomini non rimane nulla a cui aggrapparsi e lottano strenuamente per conservare anche la più piccola illusione di relazione.
Ovviamente non è sempre così, ma spesso sì. E allora la solitudine, l’abbandono, il dolore, in taluni si sposano con la rabbia, la rivendicazione, la rivalsa, l’ostinazione, il possesso dell’unico ‘bene’ che è loro rimasto. Dall’esasperazione all’esercizio della violenza, alla dimostrazione della superiorità fisica, il passo è, per alcuni, breve.
Ma anche le donne, spesso, sono colpevoli o complici dei loro aguzzini. Sono colpevoli non di essersi emancipate, ma di chiudersi nel silenzio. Per vergogna, per paura, per la solita inutile speranza che ‘lui cambi’, per l’orgoglio che non consente loro di ammettere il fallimento della relazione o di essersi sbagliate sulla vera personalità del compagno.
Colpevoli di credere ancora che l’amore sia compatibile coi ceffoni, che il desiderio di lui di averla solo per sé sia dimostrazione di passione assoluta e non di controllo patologico, colpevoli di credere che ‘la forza dell’amore’ sistemerà tutto.
L’amore, che certamente ha tante facce e che nessuno può definire. Ma, al negativo, si può dire che certamente non è quello che si nutre di soprusi e di violenze.
© Danila Faenza