La parola ‘nemesi’ è la chiave
per interpretare Magnolia (1999), il
bellissimo film di Paul Thomas Anderson.
Secondo la mitologia greca,
Nemesi distribuiva il fato in modo tale da riparare i danni fatti o le fortune
immeritate; si tratta, insomma di una forza equilibratrice, in qualche modo
livellante e riparativa.
Il film è corale e costituito da
nove storie che in qualche modo si intrecciano: in ogni episodio, ognuno dei
personaggi incontra la sua ‘ombra’, la parte negata di sé, la sua paura, il suo
tabù, la sua ossessione negata, il suo amore represso, la misericordia
rifiutata, il rigore ignorato.
Il destino, più ancora che il
lettino dello psicoanalista, mette i protagonisti al muro, costringendoli ad
affrontare ciò che, con caparbietà, superficialità ed ipocrisia, hanno sempre cercato
di sfuggire.
Linda ( una sempre bellissima ed
intensa Julianne Moore), è la moglie di un anziano malato terminale (Jason
Robards) che ha sposato solo per i suoi soldi ma che, ora, ama: vuole
rinunciare all’eredità per i sensi di colpa che ora prova; “Quiz Kid"
Donnie Smith (William H. Macy, che ricordiamo come interprete di Fargo) è un ex bambino prodigio caduto
in disgrazia che mette un atto una rapina per mettersi l’apparecchio
ortodontico al fine di conquistare il giovane barista di un pub per gay.
Il regista è talmente abile da
riuscire anche a far recitare bene perfino Tom Cruise, nel ruolo di un ‘santone della misoginia’ e del
sesso come effimero potere e fonte di rivalsa sulle odiate donne.
Magnolia ricorda, per certi aspetti, il Robert Altman di America Oggi (Short Cuts, 1993), capolavoro del compianto regista americano; uno
degli elementi di somiglianza è l’intervento finale della forza incontrollabile
della natura (in Altman il terremoto, in Magnolia
la pioggia di rane) che, in qualche modo, fa pensare alla giustizia divina. Ma se
in un caso prevaleva il pessimismo, in questo film la sensazione finale è
liberatoria, come quando si è saldato un debito, riconosciuto un proprio
errore, ritrovata la fiducia nella possibilità di un nuovo inizio.
Non è probabilmente una
coincidenza che la pioggia di rane
sembri ispirata da una delle Piaghe d’Egitto (la seconda) descritta nell’Esodo
della Bibbia (http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Es7%2C26-8%2C11&formato_rif=vp
), in cui Dio dice a Mosè di recarsi dal faraone per intimargli di lasciare
andare il suo popolo (gli Ebrei) affinché possano servirlo e, in caso di
rifiuto, minaccia un’invasione di rane.
Aldilà dell’interpretazione
religiosa, il messaggio sembra spronare
alla liberazione dalla schiavitù del desiderio del potere materiale e dai propri
schemi mentali ed incoraggiare verso l’apertura dell’anima. E se tutti i dolori
e le paure dei personaggi sono connessi tra loro, realizzare un cambiamento
personale forse significa anche irradiare pace su chi ci circonda, piuttosto
che odio, rabbia e frustrazione. Magari funzionasse sempre così.
Per chi l’avesse perso o volesse
rivederlo, in onda stasera, domenica 13 luglio, su Iris alle 21.
© Danila Faenza
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