mercoledì 2 luglio 2014

Quando la televisione non annoiava


Da decenni la televisione mostra una scarsissima creatività (come, del resto, tutti gli altri campi della cultura, con rare eccezioni): molte trasmissioni sono cloni di altre, oppure plagi evidenti, spesso format importati da altri Paesi. Le reti si copiano a vicenda: cucina, bake design, torte a più non posso, matrimoni dal vestito ai problemi sotto le lenzuola, quiz, reality, aspiranti cantanti, nail design ed epilazione pubica.
Del resto l’appiattimento del pensiero, della fantasia, della capacità di immaginare sono sempre più diffusi: se era così trent’anni fa, come potrebbe essere diverso ora, con persone che si anestetizzano il cervello leggendo e commentando post per metà della giornata?
Il Grande Fratello, almeno per me, è un esempio lampante di diffusione ‘virale’ del nulla e, quindi, conseguentemente, del sopore, della noia e dell’anestesia totale: devi ben essere vuoto dentro per  seguire ed appassionarti ad un programma che mostra un tot di gente anonima che interagisce in una convivenza osservata da telecamere. Personalmente, preferirei un documentario sulla colite spastica delle trote o sull’orchite dei gibboni.
Anche Scherzi a parte uno dei (fu) cult di Mediaset, , non era altro che una rivisitazione di Specchio segreto, un programma (allora sì) rivoluzionario degli anni ’60, ideato e condotto dal regista cagliaritano Nanni Loy, che mostrava la reazione delle persone a situazioni inconsuete.  
Di questa serie molti ricorderanno sicuramente l'episodio della  Zuppetta,  perché spesso riprogrammato e ambientato in uno dei bar all’epoca più frequentati di Bologna, La Canasta, all’angolo tra via Rizzoli e via Oberdan. 
Il video che propongo è, a mio parere, esilarante, perché è una sorta di pre-demenziale; guardatelo e constatate che, in una situazione assurda, nessuno si chiede perché la cosiddetta ‘giapponesina’ debba essere tenuta in braccio: tutti se la passano senza fare domande, come rassegnati a portare questo peso mentre la ragazza, sfoggiando un sorriso ingenuo e smagliante, si rivolge a loro in una lingua sconosciuta. Un grande brano di creatività televisiva.
Anche i proseliti di questa tv divertente sono inferiori all’originale: nel programma di Loy le persone coinvolte erano persone comuni che non avevano la più  pallida idea di essere riprese, mentre nelle trasmissioni che si sono servite della stessa idea spesso sorge il dubbio che il protagonista (famoso) sia consapevole di essere osservato o che, perlomeno, lo sospetti.
Anche Loy, in effetti, prese spunto da un format americano, Candid Camera, ma aggiunse un tocco nostrano che, in qualche modo, era un esperimento di visual sociology ante-litteram: vedere e capire come l’italiano comune reagiva davanti a situazioni assurde, inconsuete, imbarazzanti. E, anche senza analisi complicate, si poteva capire qualcosa del mondo e della gente, senza spiarli 24 ore al giorno.
Era, questa, una televisione che lasciava uno spunto di riflessione , oltre che di divertimento, perché non c’è nessuna legge  (e mai ci sarà, per fortuna) che decreta che l’intelligenza e/o la creatività, siano sinonimi di noia. Solo i cretini senza fantasia fanno questa equazione.
© Danila Faenza

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