Ieri sera, 31 luglio 2015, è
andato in onda, su Rai Uno, il programma Per
sempre Mia, per ricordare Mia Martini. Non intendo entrare nel merito della
qualità del programma, delle esibizioni, delle partecipazioni: in questa sede
mi interessa solo parlare di lei, del suo talento, del suo destino.
Personalmente credo che Domenica
Berté, in arte Mia Martini, fosse una predestinata, nel senso che non avrebbe
potuto eccellere in nessun campo se non in quello della musica.
Non è un privilegio di molti:
solo pochi nascono col ‘pallino’ del medico, dell’orafo, dell’ingegnere’, del
falegname, del poliziotto, dell’insegnante. Tutti gli altri si adattano, ma se
sei nato con una sorta di ‘marchio’ nel DNA non troverai pace finché a quel DNA
non corrisponda il tuo destino.
Così, credo, sia stato per Mia
Martini.
Metti che nasci con una vocazione
(evento raro) e che tu, riguardo a quella vocazione, sia un’eccellenza nel
senso che sei una delle migliori in quel campo.
Metti che nasci in una famiglia
che ti sega e ti segna, fin dall’ inizio,facendo marcire quelle radici di amore
di cui ognuno ha bisogno per sopravvivere e trovare la forza di vivere: padre
che c’è e non c’è, che quando c’è mette incinta la madre e poi la carica di
botte fino a farla abortire, che ti picchia a sangue se non vai bene a scuola,
se non sei come lui vuole.
Metti che hai una madre acquiescente
e speranzosa nel riscatto sociale delle figlie, salvo vendere la casa (e tutto
quel che conteneva) a lei ingenuamente intestata da Loredana.
Metti che sei una delle più
intense e grandi interpreti europee (ndr: seconda a Mina, come è stato detto
nel programma? Lasciamo stare Mina nel suo pertugio svizzero e basta…) ma che
tutto questo si scontri con la tua vita affettiva, perché ti sei innamorata di
un uomo che ti ama come donna ma che ,come cantante, fa fatica ad accettarti perché è meno famoso di te e
quindi un po’ ti invidia ed è geloso della tua autonomia (che comprende denaro,
celebrità, relazioni che non può controllare, potere contrattuale, etc.)
Metti che, a un certo punto, gli
addetti ai lavori e i colleghi (per esempio una che, all’epoca, era famosa per
canzoni dall’alto contenuto artistico come ‘il
kobra non è un serpente ma un pensiero frequente’) ti accusino
pubblicamente di essere la causa di disgrazie e che, soprattutto, a queste
stronzate credano gli impresari, i manager, i discografici, i musicisti, i
fonici, etc. Ricordo queste voci, così insistenti e ‘virali’ da raggiungere
anche il pubblico; all’ epoca ero un’adolescente e ci scherzavo sopra,
stupidamente come tutti gli adolescenti, ma per me Mia Martini era comunque il
massimo, l’adoravo e compravo i suoi dischi, senza pensare alla ‘sfiga’.
Metti che, a un certo punto,
tutto questo stress ti provochi dei problemi di salute (Freud non era un pivello) per cui devi operarti alle corde vocali e quindi il tuo
timbro cambia, come cambia la tua estensione vocale. Metti che magari hai paura di
non essere più all’ altezza della tua fama e che, a quel punto, decidi
di chiudere la tua carriera di cantante (destino che era nel tuo DNA) e che ti ritrovi a non avere più
una lira, per cui chiedi aiuto alla sorella maggiore, che ti ospita e ti propone un lavoro da impiegata, lavoro che
–ti rendi conto- non è per te.
Metti che sei depressa al punto
che uno come Francesco De Gregori ti telefona e ti propone una canzone
splendida come La donna cannone e tu
la rifiuti perché quello che è il senso della tua vita- cantare- per te non
esiste più.
Metti che, ogni tanto, spinta
dalla tua vocazione viscerale, provi a proporre delle canzoni bellissime, come E non finisce mica il cielo al Festival
di Sanremo ma che il ‘popolo bue’ non capisce perché Fossati -autore del pezzo-
non è ancora di moda e tu sei una ‘che non è più nell’hit-parade’.
Metti che hai desiderato un figlio e non l’hai avuto perché l’uomo da cui lo volevi non era disponibile ad averlo con te.
Metti che hai desiderato un figlio e non l’hai avuto perché l’uomo da cui lo volevi non era disponibile ad averlo con te.
Metti che, dopo anni di
tribolazioni, arrivi l’occasione giusta: una canzone splendida come Almeno tu nell’universo e una persona
intelligente come Adriano Aragozzini (se non erro sollecitato da Renato Zero) che si batte per farti partecipare a Sanremo,
con un successo incredibile e il pubblico (televisivo e non) in visibilio per
aver ritrovato l’interprete tanto amata.
Metti che poi, dopo questo
successo, gli addetti ai lavori hanno pensato che era il caso di ‘coltivare’ di
nuovo Mimì, perché rendeva in termini economici. Tutti salgono sul carro del
vincitore, quando c’è da guadagnare.
Metti che passa qualche anno di
ritrovata popolarità, ma appesantito dal logorio
di tanta fatica, di delusioni umane e professionali, di lotte contro una coalizione di dementi, in un contesto sociale ed
economico in cui la vendita dei dischi non è più il metro del successo, perché
la pirateria –online e non- esiste già.
Metti che sei vicina ai 50 anni e fai una botta di conti: avevi fama e successo e l'hai perso per l'invidia e l'idiozia di anime 'brutte'; eri benestante ma ti sei trovata a non lavorare per anni e adesso hai 350 milioni di debiti; la sorella più vicina a te, per età e per affinità, paga
anche lei il prezzo di uno squilibrio familiare e, anche se vi amate tanto,
litigate spesso; l’amore che avevi non sa
più il tuo nome e, nonostante questo, lo rimpiangi; gli amici, quando la musica è finita, si rintanano nei loro
bunker esistenziali e non ti cercano mai.
Allora, visti tutti i rapporti
fallimentari, ti viene in mente di andare a cercare un padre che non c’è mai
stato e che, per il poco che c’è stato, ti ha massacrato. Eppure lo fai
nell’ estremo tentativo di riabilitarlo, di comprendere quello che, forse, nemmeno
lui non hai mai compreso. Tentativo disperato di razionalizzare dinamiche
assurde, problemi tra genitori –nel senso letterale di chi genera e BASTA- di
cui le figlie hanno pagato un prezzo terribile. Un’ultima spiaggia, probabilmente una delusione così devastante da essere inconfessabile.
Troppo generosa, Mimì.
Metti che, a quel punto, forse
non si sa neanche come, una grande stella della musica, l’interprete più grande
della canzone italiana, si ritrova in miseria (perché, tra le altre cose,
Roberto Murolo, non le ha dato una lira dei diritti che le spettavano per Cu ‘mme).
Tutti l’hanno tradita, tutti
l’hanno ignorata, sottovalutata, sputtanata, sfruttata, non riconosciuta.
Metti che, allora, non te ne
freghi più niente della vita. Chi ha visto gli ultimi video –alcuni amatoriali-
può vedere chiaramente un volto disperato, che piangeva mentre cantava, che
cantava leggendo sul leggio, che s’interrompeva
per il malessere.
Allora può anche succedere che
una così, una non grande ma immensa, si rifugi in un appartamento squallido in
un condominio squallido di in paesino squallido accanto a un padre che non c’è
mai stato.
E che urli, silenziosamente, il
proprio dolore, che rimbalza come un’eco sulle pareti di una stanza anonima. E
che non abbia più voglia di star male, di combattere con un mondo di cretini, di menefreghisti e di stronzi; che non abbia più la forza di fare i conti con le delusioni familiari, di lottare con le mediazioni della
vita, di lavorare come un mulo sapendo che difficilmente potrai sopravvivere e pagare i debiti, consapevole che la gente che ti vede ai concerti e in televisione ti pensa come una privilegiata, famosa e ricca.
Molti credono che basti apparire in tv per essere benestanti e senza problemi, perché si identifica il talento (vero o presunto) col denaro, ma non è affatto così.
Molti credono che basti apparire in tv per essere benestanti e senza problemi, perché si identifica il talento (vero o presunto) col denaro, ma non è affatto così.
Si parla tanto di valori, come
quello della solidarietà, ma sono solo specchi per le allodole, frasi vuote di
chi si dichiara ‘di sinistra, cristiano, etc.’. La realtà è che viviamo, da
tanti anni, in un mondo privo di valori concreti, in cui purtroppo ‘amore,
amicizia, solidarietà, civiltà’ sono solo parole vuote, sempre meno praticate
nella realtà. Giorgio Gaber cantava ‘se
potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione’ , ma da tanto tempo
le idee passano per il cervello e, quando arrivano allo stomaco, vengono
vomitate.
Mimì è un esempio di questa
trascuratezza, di questa noncuranza, di questo menefreghismo. E se è stata
ignorata lei, che era quel che era, possiamo immaginare il resto del mondo.
Per fortuna, lei aveva un talento
ed un carisma grazie al quale verrà ricordata per sempre: per fortuna nostra, non sua.
Vi lascio con questa splendida
canzone, scritta dall’amore della sua vita, che non sa più il suo nome.
© Danila Faenza