La morte di Pino Daniele ha
alcune cose in comune con quella di Lucio Dalla: inaspettata e con polemiche di
strascico.
Nel caso di Dalla ci furono i ‘talebani
dell’omosessualità’ che pretendevano un outing postumo rivendicando ‘l’appartenenza’
del cantautore ad una schiera, una minoranza cui lui non aveva mai dichiarato
di appartenere: certo non si nascondeva, ma neanche sbandierava la sua vita privata di cui,
infatti, non parlava praticamente mai.
Nel caso di Daniele, invece, c’è
l’arroganza di parte dei suoi fans e dei napoletani che si sentono in diritto
di decidere come, dove e quando debba essere esposta la salma, dove vengano celebrati
i funerali, dove debbano riposare le sue ceneri.
Viviamo in una società che vuol
decidere di te in qualsiasi momento: per legge non puoi decidere se morire
quando non ne puoi più e, anche quando muori, c’è chi vuol parlare per te, chi
rivendica il diritto di ‘iscriverti’ ad un club, ad uno schieramento, ad una
appartenenza.
Pino Daniele era napoletano, con
tutto il suo essere. Ma, se nonostante questo ha deciso di ‘riposare’ a
Grosseto, una ragione ci sarà e riguarda solo lui.
Se la famiglia, conoscendolo
molto meglio di migliaia di fans, ha deciso di celebrare i funerali a Roma,
avrà ritenuto meglio agire in questo senso.
L’appartenenza ad una città, ad
un partito, ad una minoranza non significa nulla nel momento in cui uno muore,
quindi trovo veramente pretestuose ed arroganti le rivendicazioni dei
napoletani che sentono il cantautore come una loro proprietà privata: le
persone appartengono a chi davvero le ama e, quando non ci sono più, è la loro
arte ad appartenere a tutti. Il resto è solo stupido ed inutile berciare che
dimostra solo una dilagante mancanza di rispetto verso le scelte personali.
© Danila Faenza